II secolo d.C. Apogeo dell'impero romano
Il beatissimum saeculum:
Il
II secolo d.C è stato universalmente considerato dagli storici antichi e
moderni beatissimum saeculum, l'età
d'oro dell'impero. Persino Tacito (che vide soltanto l'inizio di questo periodo)
parlò di un'epoca nuova, in cui si poterono conciliare due cose in apparenza
inconciliabili: l'impero e la libertà (che in realtà è la libertà del senato).
Gli imperatori di quest'epoca discendevano tutti da nobili famiglie situate
nelle province romanizzate come le Gallie e la Spagna. Lo stesso vale per il
senato formato in maggioranza dalla nobiltà provinciale che stava soppiantando
la nobiltà italica messa a dura prova dopo l'impero di Nerone. In questo modo senato ed imperatore,
provenendo dallo stesso ambiente, avevano mentalità e interessi in comune e il
loro rapporto, in questa nuova epoca, si consolidò.
Il principato adottivo
Per
una combinazione di circostanze nessuno degli imperatori del secolo II d.C ebbe
discendenti diretti; per provvedere alla successione al trono essi dovettero
dunque adottare una persona estranea alla loro famiglia. La legittimità del
potere di questi imperatori non proveniva dal diritto di nascita (non
riconosciuto dal sistema giuridico romano) ma dalla decisione diretta del princeps; sembrò realizzarsi l'ideale
stoico diffuso nell'aristocrazia romana che poneva al vertice dello stato un optimus
princeps, i cui meriti fossero riconosciuti da tutti e la cui autorità fosse di
conseguenza accettata da tutti.
Ciò
evitò le congiure di palazzo e la possibilità che persone impreparate salissero
al potere. I nuovi imperatori sarebbero stati scelti sulla base delle loro
effettive capacità e sarebbero stati graditi anche dal senato, per via del
nuovo accordo tra i due organi politici; inoltre sarebbero stati ben visti
anche dall'esercito.
La vita cittadina
Il
bilancio del II secolo d.C. fu complessivamente positivo. I confini raggiunsero
la massima estensione; le aristocrazie provinciali erano ormai perfettamente
integrate nello stato romano; la vita cittadina in ogni provincia dell'impero
s'incrementò come mai in precedenza: furono fondate nuove città e quelle
esistenti vennero abbellite con monumenti ed edifici di pubblica utilità. Ogni
città aveva terme, teatri, bagni pubblici, acquedotti, biblioteche, stadi,
scuole, mercati che rendevano l'esistenza più piacevole: nessun'altra epoca, sino
a tempi recentissimi, conobbe un tale livello di vita. Un'efficiente rete
stradale collegava le regioni dell'impero e trasportava flussi di viaggiatori,
mercanti e turisti in ogni parte del mondo in condizioni di discreta sicurezza.
Per la prima volta i cittadini dell'impero (o almeno buona parte di essi) si
sentivano effettivamente partecipi di uno stato comune e non sudditi di un
dominio straniero. Quegli anni furono segnati da coesione ideale e benessere
materiale.
Elementi di debolezza – il declino
dell'Italia
In
quest'epoca erano già presenti i germi della crisi dell'impero. Per primo il
declino dell'Italia. Decadde l'agricoltura, diminuì a popolazione e
l'economia diede i primi segni di difficoltà. Era un sintomo preoccupante
che si manifestò prima in Italia, ma si verificò più avanti anche nelle
province.
Gli
obblighi militari toglievano forza lavoro alle attività produttive e favorivano
il calo demografico.
L'esercito romano era ancora in buona parte formato da italici ed ogni anno
migliaia di reclute venivano inviate ai confini per compensare le perdite e
sostituire i veterani congedati.
I militari
così operanti ai confini restavano via per molto tempo e spesso accadeva che
anziché far ritorno in patria si stabilissero nei territori circostanti le zone dove avevano prestato servizio.
Gli
imperatori del'epoca tentarono di riparare questo meccanismo obbligando ad
esempio i senatori ad acquistare terre in Italia, a sostenere l'agricoltura
specializzata, e proibendo alla popolazione di emigrare. Tuttavia per il
governo fu difficile far fronte a questi imponenti meccanismi storici.
L'artigianato e l'agricoltura
La
bilancia commerciale di quest'epoca era in passivo, l'artigianato non
sufficiente a regolarizzare il mercato, inoltre l'acquisto di beni di lusso
come seta, spezie, e aromi provenienti dall'Oriente e da paesi come la Cina
esauriva la moneta che non tornava più indietro, essendo ormai in circolo negli
stessi paesi da cui provenivano tali merci. La base dell'economia antica era
l'agricoltura, ma da sola non bastava a fronteggiare le spese delle città, vere
e proprie divoratrici di ricchezze. Come accadeva quando si tirava la cinghia
il latifondo incedeva e la piccola agricoltura entrava in crisi. Grandi
possedimenti terrieri in mano ai latifondisti però non producevano come sarebbe
accaduto se gli stessi territori fossero stati divisa tra aziende agricole
familiari in cui l'interesse personale avrebbe stimolato l'agricoltura a
incrementare la produzione e a investire il surplus (ossia i guadagni) per
migliorare l'azienda. L'avanzata del latifondo, dunque, diminuiva la produzione
globale ed il solo surplus ottenibile andava speso in costruzioni monumentali o
in beni voluttuari anziché in investimenti.
Il sistema del colonato:
Molti
proprietari terrieri, per ovviare al declino della produzione, trovavano più
conveniente rinunciare alla gestione diretta delle grandi aziende agricole.
L'epoca dell'economia schiavista venne meno (anche perché la pace ridusse la
disponibilità di schiavi) e fu sostituita dal sistema del colonato. Dato il
basso rendimento della manodopera servile le grandi tenute vennero divise in
piccoli lotti affidati a contadini nullatenenti o schiavi in stato di
semilibertà, detti <<coloni>> che versavano al proprietario metà di
quanto raccoglievano.
Per
permettere il funzionamento di questo nuovo sistema occorreva un attento
controllo dello stato: bisognava impedire che gli esattori delle imposte
depredassero i coloni e che i proprietari esigessero più del dovuto. Bisognava
inoltre impedire che i briganti o gli invasori devastassero le terre e che i
coloni in miseria fuggissero dalle campagne lasciandole incolte.
Gli
imperatori del II secolo d. C pensarono a tutto ciò emanando leggi a favore
degli agricoltori. Gli imperatori dell'età successiva, generalmente militari
dichiaratisi tali, lasciarono le campagne al loro destino e cercarono di
spremere da esse quante più tasse possibili. Nell'epoca successiva al florido
secondo secolo d.C masse di contadini saranno costretti ad un lavoro pesante
per sopperire alle esigenze delle città che avidamente ne succhiavano il
prodotto. La differenza tra libero e schiavo verrà meno ed il colono sarà
esposto alla rapacità dello stato e dei potenti scaraventandolo in una
condizione sfavorevole in cui va vista la radice della servitù della gleba, che
come vedremo, caratterizzò l'agricoltura medievale. Questa situazione cominciò
a delinearsi nei primi secoli dell'impero e divenne assai diffusa a partire dai
secoli III-IV d.C.
La cultura – luci e ombre – Plutarco:
In
quest'epoca sembra aggirarsi la consapevolezza di una prossima dissoluzione, la
nuova pace e lo splendore derivante è percorsa da sotterranee inquietudini. Nel
II secolo d.C la classe colta greca o romana sentiva di essere partecipe di uno
stesso mondo spirituale e degli stessi ideali di vita. In questo tempo nacque la cultura classica,
intesa come unità di letteratura, filosofia e civiltà greco - latina: ne
troviamo adeguata espressione nell'opera di uno dei massimi scrittori di
quest'epoca, il greco Plutarco (46-127 d.C.) di Cheronea.
Sulla
sua opera principale “le vite parallele” Plutarco propone un affresco delle
grandi figure del passato, sia greco che latino, con l'intento di dimostrare
come, al di là delle differenze storiche, i grandi personaggi dell'umanità
fossero partecipi della medesima educazione, che era fondamentalmente quella
greca. Plutarco ritrova gli ideali di forza morale davanti alle prove della
vita, di fiducia nell'uomo, di equilibrio fisico e mentale (che allora
formarono l'essenza dell'umanesimo) in ogni grande figura del passato: Giulio
Cesare, Alessandro Magno, Catone, Pericle, di cui egli racconta le vite,
formano nella sua prospettiva i modelli con cui l'uomo di ogni epoca dovrà
misurarsi. Plutarco dava così voce ad un ideale condiviso generalmente dalla
classe dirigente: gli imperatori romani erano bilingui, amavano la Grecia e la
sua cultura, erano imbevuti di cultura greca (uno di essi, Marco Aurelio,
scrisse le sue opere direttamente in greco) e vedevano le loro radici comuni in
Omero come in Virgilio.
Il
gusto per l'antico:
In
questo nuovo secolo la cultura anziché spingersi verso nuovi orizzonti
rintracciando nuovi stili ad esempio artistici o architettonici, proponendo
degli scritti che descrivessero la contemporaneità, si limitavano ad una
rivisitazione sterile del passato. In quest'epoca la scuola e l'istruzione
assumono livelli mai visti prima, è l'epoca della retorica e dell'arcaismo (il
gusto per l'antico), in cui si vuol imitare piuttosto che ricreare. Gli scrittori
di quest'epoca ritenevano che il meglio appartenesse al passato e che fosse più
utile concentrarsi su di esso per trarre insegnamenti che lo stesso presente
non permetteva.
I
rilevanti scrittori dell'epoca provenivano da luoghi marginali segno di una
profonda penetrazione della cultura in ogni angolo dell'Impero: Apuleio, il
maggiore scrittore latino dell'epoca autore di un romanzo con sottofondi
misterici e religiosi “Le Metamorfosi o L'Asino d'oro”, era africano, di Madura
(odierna Tunisia); Luciano, scrittore e conferenziere greco famosissimo nella
sua epoca, era di Samosata (Mesopotamia); Elio Aristide dell'Asia Minore.
Tutti
costoro gravitavano insieme a folle di intellettuali e filologi in grandi città
come Roma o Alessandria. Ma anche nelle province dove si inventavano i
letterati più rappresentativi da ricoprire di onori e ricchezze.
Lo
sviluppo delle scienze:
In
questo campo vanno ricordati almeno due personaggi: il geografo e astronomo
Claudio Tolomeo, che elaborò, sulla base di calcoli matematici allora giudicati
irrefutabili, la teoria geocentrica, che avrebbe resistito sino al XVI secolo.
Poi va ricordato Galeno di Pergamo che assieme ad Ippocrate fu il più grande
medico dell'antichità. Questi scrisse su tutte le specialità della medicina e
della farmacia; le sue opere furono considerate il compendio della scienza
medica antica e durante il medioevo furono tradotte in arabo e in latino. Anche
le dottrine di Galeno rimasero indiscusse aino all'epoca moderna, e su alcuni
punti le sue intuizioni vengono considerate ancora valide.
Il breve regno di Nerva:
I congiurati che assassinarono Domiziano si
accordarono col senato per eleggere imperatore un anziano autorevole senatore,
Cocceio Nerva (96 d.C.). Nerva comprese la necessità di ottenere l'appoggio
dell'esercito e pertanto adottò il più prestigioso generale dell'epoca, Ulpio
Traiano, che comandava le truppe accampate sulle rive del Reno.
Dopo il breve regno di Nerva, il potere passò a
Traiano in modo talmente pacifico che l'imperatore non interruppe nemmeno le
sue campagne militari per venire a Roma e farsi incoronare.
Traiano Imperatore:
Ulpio Traiano, figlio di un generale, era nato in
Spagna e fu il primo imperatore di origine non italica. Sotto il suo governo
l'impero romano raggiunse la massima espansione; riprese la guerra contro i daci del re
Decebalo (101 d.C.) e sottomise tutta la regione oltre il Danubio che venne
incorporata come provincia della Dacia. Per rendere stabile questa nuova
conquista vennero inviati molti coloni: subito venne romanizzata. Nel territorio erano
inoltre presenti molte miniere d'oro di cui si appropriò il fisco imperiale.
Fu
una conquista che diede allo stato risorse necessario a far proseguire le
campagne militari come anche i lavori pubblici che mutarono il volto del centro
di Roma con la costruzione di un grande Foro e degli immensi mercati traianei.
Traiano fece inoltre innalzare una grande colonna trionfale intarsiata con
devorazioni che illustrano le varie imprese.
L'espansione
in Oriente e la politica economica:
Dopo
la Dacia, Traiano si dedicò all'Oriente. Il momentaneo ed unico nemico di Roma
era il regno dei parti. Dopo una meticolosa organizzazione egli condusse
l'esercito in territorio nemico e riuscì ad insediarsi persino nella capitale
Ctesifonte. Tutta la Mesopotamia venne acclusa come provincia dell'impero ed i
confini si allargarono sino a giungere alle rive dell'oceano Indiano.
Al
termine della campagna, Traiano impose il diadema in testa al nuovo re dei
parti. Mentre l'imperatore si trovava in Mesopotamia una ribellione delle
popolazioni ebraiche lo costrinse a rientrare e nel 117 d.C. egli morì.
Il
suo progetto non ebbe carattere unicamente militare, organizzo meglio la
burocrazia e promulgò le leggi a favore dei piccoli agricoltori, la cui base
era minacciata dall'estendersi del latifondo. Abolì le tasse arretrate per alleggerire il peso
fiscale che gravava sulle province e fondò una specie di cassa di risparmio
popolare che concedeva prestiti a contadini indebitati.
In
più regolò il senato di modo che acquistasse terre in Italia investendo un
terzo del loro capitale con una norma che però è difficile conoscere fin quanto
venne rispettata.
Adriano
e il consolidamento dei confini:
Elio
Adriano venne adottato dallo stesso Traiano poco prima della sua morte, egli
era suo nipote, nobile di origine spagnola di eccezionale cultura letteraria e
artistica.
Egli
abbandono immediatamente le province mesopotamiche e non intraprese altre
campagne militari. Con il suo regno l'espansionismo venne dirottato con una
politica più volta a consolidare i confini già esistenti. Egli scelse questa
politica per far fronte all'economia dell'impero ritenendo più opportuno
inoltre concentrare l'attenzione sulle frontiere. Scrive di lui una cronaca
antica (la Historia Augusta): <<Subito dopo essere salito al trono si
dedicò a conservare la pace>>.
Egli
dedicò il suo regno a una capillare opera di riorganizzazione dell'apparato
statale e della vita economica. Assai significativa è anche la sua legislazione
sulla schiavitù che ne proteggeva le persone contro gli arbitri dei padroni.
Egli dedicò il suo tempo in viaggi di ispezione in tutto il regno, voleva
conoscere ed intervenire personalmente in ogni aspetto dell'amministrazione.
La
cultura dell'urbanizzazione:
In
questo periodo bisogna considerare l'impero greco-romano, ed Adriano essendone
ben consapevole si mostrò benevolo con le popolazioni ellenizzate della parte
orientale. Egli favori la rinascita della capitale morale della cultura greca,
Atene, che durante il suo regno rifiorì urbanisticamente grazie all'operato di
un amico personale dell'imperatore, il mecenate Erode Attico.
Ma
anche a Roma egli diede impulso all'architettura monumentale: restano a
testimonianza la sua villa a Tivoli e il suo immenso mausoleo nota oggi come
Castel S.Angelo.
Egli
rafforzò le difese di confine specialmente in Britannia dove fece costruire una
linea fortificata, il vallo di Adriano, che proteggeva le terre sotto il
protettorato di roma dalle incursioni dei popoli a nord. Fondò nuove città,
come Adrianopoli (l'attuale città di Adriano) e provvide al restauro di molte
altre. Scrive lo storico del nostro secolo,
Michael Rostovzeff, <<secondo gli antichi pensatori v'era una via e una
via soltanto per migliorare la vita delle province e portarla a un livello più
alto: era l'urbanizzazione continua di nuovi nuclei di civiltà e di
progresso>>. In molte zone dell'impero non erano sorte città.
Fondare
una città in zone in cui la gente viveva organizzata in tribù significava recuperare
tali popolazioni al sistema di vita che formava la forza dell'impero e
costituiva l'eredità più grande della civiltà classica: significava diffondere
la cultura che i greci e i romani avevano elaborato nel corso dei secoli a
popolazioni barbare ignare dell'esistenza della civiltà.
Ciò
aveva comunque aveva le sue conseguenze, bisognava infatti adattare le campagne
al sostentamento delle nuove città.
Adriano
dovette fronteggiare una rivolta degli ebrei con metodi anche cruenti. Sulle
rovine di Gerusalemme venne fondata una colonia latina (Elia Capitolina),
popolata da veterani ai quali era affidato il controllo della ragione.
I
meriti di Adriano si manifestarono in modo particolare in campo culturale: i
suoi provvedimenti più importanti furono rivolti al miglioramente
dell'educazione scolastica, alla quale accedeva una parte notevole della
popoazione, e al reclutamento dei funzionari di stato, che furono scelti tra le
persone di cultura più elevata anziché tra rapaci cortigiani.
Antonino
Pio e i suoi successori adottivi.
Ad
Adriano succedette Antonino Pio (138 d.C.), un nobile nativo delle Gallie; da
allora gli imperatori di questa dinastia sono noti col nome di Antonini. Anche
lui sostenne una politica di pace e durante il suo regno la politica estera
ebbe un'importanza marginale poiché la pax Romana regnava incontrastata su
tutto il territorio dell'impero. Al momento della successione Adriano aveva
imposto ad Antonino Pio di adottare a sua volta come successori due fratelli:
Marco Aurelio e Lucio Vero. Egli presero il potere alla morte di Antonino, ma
di fatto a regnare fu il solo Marco Aurelio, una delle figure più notevoli
dell'età imperiale (161-180 d.C.)
Anche
Marco Aurelio era un uomo di grande cultura; seguace della filosofia stoica,
lasciò un'opera (A se stesso) che è uno dei testi più importanti dell'epoca,
composta in buona parte durante le campagne militari contro i germani, come
aveva già fatto Giulio Cesare.
La
differenza è che l'impronta aureliana in questi scritti caratterizza più
l'aspetto meditativo dell'imperatore. Le sue riflessioni sul mondo e sugli
uomini rivelano spesso un profondo pessimismo: <<romani e barbari che si
scannano tra lroro mi sembrano simili a due cagnolini che si azzuffano attorno
allo stesso osso>> o ancora <<È difficile per un uomo sopportare se
stesso>>, <<compiere il proprio dovere di romano e di uomo con
fermezza... ci riuscirai se compirai ogni azione della tua vita come se fosse
l'ultima>>, <<Dentro di te c'è la fontana del bene che è sempre
pronta a sgorgare, solo che tu continui a scavare>>.
<<Appena
sveglio comincia col dire a te stesso: oggi incontrerò un trafficone, un
ingrato, un prepotente, un imbroglione, un invidioso, un egoista. Tutti questi
difetti provengono a loro dall'ignoranza di ciò che è bene e di ciò che e
male>>.
L'inquietudine
interiore di questo imperatore, il senso della vanità dell'azione politica
espressi nella sua opera sono sintomi di una visione della vita delle classi superiori
profondamente mutata.
Marco
Aurelio imperatore:
Il
tempo di Marco Aurelio segnò la fine dell'apogeo impaeriale e l'inizio del
declino e della crisi dello stato. I Romani dovettero infatti affrontare una
situazione di emergenza dovuta al contemporaneo assalto di germani e di parti
alle frontiere.
I
parti invasero la Siria e furono respinti con grande sforzo dal generale Avidio
Crasso e dal coimperatore Lucio Vero. Questa vittoria ebbe conseguenze più
catastrofiche di una sconfitta infatti vi fu un grave caso di peste bubbonica
che dilagò in tutto l'impero. Questa durò molti anni e decimò la popolazione,
milioni furono i morti con conseguenze catastrofiche sia per l'economia che per
il reclutamento dei soldati. È sbagliato sottovalutare il caso della peste,
molte campagne restarono incolte e non poterono più risollevarsi, la vita cittadina
decadde, i commerci e l'artigianato entrarono in crisi. La necessità di
militare costrinse ad adottare l'arruolamento forzato (Marco Aurelio per
colmare questo vuoto di soldati dovette arruolare schiavi e gladiatori e
vendere le sue stesse suppellettili). Furono anni molto difficili, si aggiunse
inoltre la pressione dei popoli al confine del Reno, i quadi e i marcomanni lo
attraversò sino a giungere ai confini dell'Italia, ad Aquileia (166 d.C.) dove
furono fermati.
Egli
(175 d.C.) debellò i nemici, penso di estendere i confini oltre il limes, ed
infine creò le province di Quadia e Marcomannia. Inoltre stanziò gli stessi due
popoli a guardia dei confini del limes, come alleati dei romani.
Questi
accordi furono però effimeri, essi si ribellarono e Marco Aurelio dovette
trasferirsi nuovamente ai confini per affrontarli, nel 180 d.C., mentre la
guerra si stava sviluppando egli morì di peste a Vienna. Adesso la situazione
era fosca, le risorse scarseggiavano, e le pressioni ai confini un pericolo
costante che minacciava l'integrità dell'intero impero.
Commodo
e il sistema dinastico:
A
Marco Aurelio successe il figlio diciannovenne Commodo che lo aveva seguito
nella spedizione contro i germani. In tal modo finì l'epoca del principato
adottivo e si ritornò al sistema dinastico. Commodo era totalmente diverso dal
padre, suo padre uomo di cultura, suo figlio accentuò invece tratti
popolareschi e autocratici. Amava esibirsi come auriga nel circo, si fece
ritrarre nelle vesti di Eracle con clava e pelle di leone. All'imperatore
asceta e intellettuale successe dunque un imperatore plebeo e atleta.
Difficile
spiegare gli atteggiamenti del nuovo imperatore, ma essi erano sicuramente
puntati ad ottenere il consenso della plebe romana che in effetti si affezionò
più al nuovo che al vecchio imperatore. Il senato comunque esautorò
completamente Commodo, anche gli ambienti militari ne furono delusi quando
decise di porre fine alle guerre contro i marcomanni e i quadi patteggiando il
versamento di un'ingente indennità.
La
nuova pace venne ritenuta ignominiosa dai militari, consapevoli di trovarsi
alla vigilia di una completa vittoria. Commodo scampò alla prima tra le varie
congiure architettate a suo danno; si circondò per questo di pretoriani a lui
fedeli ed iniziò una serie di feroci processi contro l'aristocrazia senatoria
come fu per Nerone e Domiziano. Nel 192 d. C un complotto di palazzo lo eliminò
dalla scena.