IL VAGO E L'INDEFINITO
(Zibaldone 514 -1 6)Da fanciulli, se una veduta, una campagna, una pittura, un
suono ec. un racconto, una descrizione, una favola, un'immagine poetica, un
sogno, ci piace e diletta, quel piacere e quel diletto è sempre vago e
indefinito: l'idea che ci si desta è sempre indeterminata e senza limiti: ogni
consolazione, ogni piacere, ogni aspettativa, ogni disegno, illusione ec.
(quasi anche ogni concezione) di quell'età tien sempre all'infinito: e ci pasce
e ci riempie l'anima indicibilmente, anche mediante i minimi oggetti. Da
grandi, o siano piaceri e oggetti maggiori, o quei medesimi che ci allettavano
da fanciulli, come una bella prospettiva, campagna, pittura ec. proveremo un
piacere, ma non sarà più simile in nessun modo all'infinito, o certo non sarà
così intensamente, sensibilmente, durevolmente ed essenzialmente vago e
indeterminato. Il piacere di quella sensazione si determina subito e si
circoscrive: appena comprendiamo[1]
qual fosse la strada che prendeva l'immaginazione nostra da fanciulli, per
arrivare con quegli stessi mezzi, e in quelle stesse circostanze, o anche in
proporzione, all'idea ed al piacere indefinito, e dimorarvi. Anzi, osservate
che forse la massima parte delle immagini e sensazioni indefinite che noi
proviamo pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita, non sono altro che
una rimembranza della fanciullezza, si riferiscono a lei, dipendono e derivano
da lei, sono come un influsso e una conseguenza di lei; o in genere, o anche in
ispecie; vale a dire, proviamo quella tal sensazione, idea, piacere ec., perché
ci ricordiamo e ci si rappresenta alla fantasia quella stessa sensazione
immagine ec. provata da fanciulli, e come la provammo in quelle stesse
circostanze. Così che la sensazione presente non deriva immediatamente dalle
cose, non e un immagine degli oggetti, ma della immagine fanciullesca; una
ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o riflesso della immagine
antica.
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