LEOPARDI, LA TEORIA DEL PIACERE
Le riflessioni sul piacere e l'indefinito
prendono l'avvio nel luglio del 1820, continuando poi negli anni successivi.
Costituiscono il nucleo centrale della poetica di Leopardi.
La felicità coincide con il piacere. L’uomo desidera
il piacere in sé, un piacere intenso e illimitato, impossibile da raggiungere:
non potrà perciò raggiungere la soddisfazione per mezzo dei singoli piaceri.
Le citazioni sono tratte dallo Zibaldone
353. Il sentimento della nullità di tutte
le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempirci l'animo, e la tendenza
nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione
semplicissima, e più materiale che spirituale. L'anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre
essenzialmente e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia
alla felicità, che considerandola bene, è tutt'uno col piacere. Questo
desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch'è ingenita o congenita
coll'esistenza e perciò non può aver fine in questo o quel piacere che non può
essere infinito, ma solamente termina colla vita. E non ha limiti: 1. né per durata;
2. né per estensione. Quindi non ci può essere nessun piacere che uguagli: 1.
né la sua durata, perché nessun piacere è eterno 2. né la sua estensione,
perché nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta che tutto esista
limitatamente, e tutto abbia confini, e sia circoscritto. Il detto desiderio
del piacere non ha limiti per durata, perché, come ho detto non finisce se non
coll'esistenza, e quindi l'uomo non esisterebbe se non provasse questo
desiderio. Non ha limiti per estensione perch'è sostanziale in noi, non come
desiderio di uno o più piaceri, ma come desiderio del piacere. […] Se tu
desideri un cavallo, ti pare di desiderarlo come cavallo e come un tal piacere,
ma in fatti lo desideri come piacere astratto e illimitato. Quando giungi a
possedere il cavallo, trovi un piacere necessariamente circoscritto e senti un
vuoto nell'anima, perché quel desiderio che tu avevi effettivamente non resta
pago. Se anche fosse possibile che restasse pago per estensione, non potrebbe
per durata, perché la natura delle cose porta ancora che niente sia eterno.
[...] Quindi potrete facilmente concepire come il piacere sia cosa vanissima
sempre [...].
L’essere umano ha un naturale tendenza a immaginare:
poiché il piacere è estremamente importante, molti pensieri saranno dedicati a
immaginare il piacere stesso.
Veniamo alla inclinazione dell'uomo
all'infinito. Indipendentemente dal desiderio del piacere, esiste nell'uomo una
facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, e in un modo
in cui le cose reali non sono. Considerando la tendenza innata dell'uomo al
piacere, è naturale che la facoltà immaginativa faccia una delle sue principali
occupazioni della immaginazione del piacere. E stante la detta proprietà di
questa forza immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non esistano, e
figurarseli infiniti: 1. in numero, 2. in durata, 3. in estensione. Il piacere
infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così nella
immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni ec. Perciò non è
maraviglia: 1. che la speranza sia sempre maggior del bene; 2. che la felicità
umana non possa consistere se non nella immaginazione e nelle illusioni. Quindi
bisogna considerare la gran misericordia e il gran magistero della natura [...]
[...] Del resto il desiderio del piacere
essendo materialmente infinito in estensione (non solamente nell'uomo, ma in
ogni vivente), la pena dell'uomo nel provare un piacere è di veder subito i
limiti della sua estensione, i quali l'uomo non molto profondo gli scorge
solamente da presso. Quindi è manifesto: 1. perché tutti i beni paiano
bellissimi e sommi da lontano, e l'ignoto sia più bello del noto; effetto della
immaginazione determinato dalla inclinazione della natura al piacere, effetto
delle illusioni voluto dalla natura. 2. Perché l'anima preferisca in poesia e
da per tutto, il bello aereo, le idee infinite. Stante la considerazione qui
sopra detta, l'anima deve naturalmente preferire agli altri quel piacere
ch'ella non può abbracciare. Di questo bello aereo, di queste idee abbondavano
gli antichi, abbondano i loro poeti, massime il più antico cioè Omero,
abbondano i fanciulli, veramente Omerici in questo, [...] gl'ignoranti ec. in
somma la natura. La cognizione e il sapere ne fa strage, e a noi riesce
difficilissimo il provarne. La malinconia, il sentimentale moderno, ec.,
perciò appunto sono così dolci, perché immergono l'anima in un abisso di
pensieri indeterminati, de' quali non sa vedere il fondo né i contorni. [...]
Del rimanente, alle volte l'anima desidererà ed effettivamente desidera una
veduta ristretta e confinata in certi modi, come nelle situazioni romantiche.
La cagione è la stessa, cioè il desiderio dell'infinito, perché allora in luogo
della vista, lavora l'immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L'anima
s’immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre
gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non
potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale
escluderebbe l'immaginario. Quindi il piacere ch'io provava sempre da
fanciullo, e anche ora nel vedere il cielo ec. attraverso una finestra, una
porta, una casa passatoia, come chiamano. Al contrario la vastità e
moltiplicità delle sensazioni diletta moltissimo l'anima. Ne deducono ch'ella è
nata per il grande ec. Non è questa la ragione. Ma proviene da ciò, che la
moltiplicità delle sensazioni confonde l'anima, gl'impedisce di vedere i
confini di ciascheduna, toglie l'esaurimento subitaneo del piacere, la fa
errare d'un piacere in un altro, senza poterne approfondare nessuno, e quindi
si rassomiglia in certo modo a un piacere infinito.
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