La Vita nova si presenta come
ricapitolazione di un’esperienza passata, e al tempo stesso come ricostruzione
del suo significato profondo: un’esperienza sentimentale e intellettuale
insieme, di vita di poesia, così unite tra loro da non potersi distinguere.
Da qui le discussioni tra chi interpreta la Vita
nova come reale documento autobiografico e coloro che la ritengono una pura
trascrizione simbolica di idee e sentimenti. Ma il libro non è né una cosa né
l’altra, ed è difficile da penetrare con la nostra mentalità di lettori
moderni, così distanti dall’universo culturale del Medioevo. Nella
Vita nova è probabilmente contenuta
una trama di esperienze reali, ma Dante mira soprattutto a cogliere i
significati segreti che stanno al di là di esse, e a comporli in una vicenda
esemplare valida universalmente, sottratta ai limiti del tempo e dello spazio;
deriva da qui il carattere irrealistico della narrazione dantesca, che vanifica
ogni tentativo di leggerla in chiave moderna come “romanzo” psicologico. Luoghi
e persone perdono la loro fisionomia concreta e individuale, sfumando in
un’estrema indeterminatezza. Tra i fatti
della vita quotidiana viene operata una rigorosa selezione, che lascia filtrare
solo pochi gesti e azioni, stilizzati e come rarefatti, privati di ogni
urgenza fisica immediata, ridotti a pure cifre immateriali: incontri, sguardi,
saluti, gentili colloqui, solitarie passeggiate, lacrime, sospiri. Ne deriva l’impressione di un mondo diverso
da quello reale, impalpabile ed evanescente, immerso come in un’atmosfera
stranita, di sogno. Tant’è vero che alle vicende reali si mescolano spesso
autentici sogni e visioni, senza che si crei alcun contrasto, alcuna sfasatura
di tono e di atmosfera.
Il libro è suddiviso
in tre parti: nella prima si tratta degli effetti che l’amore produce
sull’amante; nella seconda si ha la lode della donna; nella terza, la morte
della “gentilissima”. A queste tre parti corrispondono tre diversi stadi
dell’amore. Nel primo esso rientra ancora pienamente nei canoni dell’amor
cortese, secondo cui l’amante poteva sempre sperare una ricompensa al suo amore
da parte della donna: il saluto era divenuto appunto il simbolo, estremamente
sublimato, di questo appagamento esteriore e materiale. La negazione del saluto
fa scoprire a Dante che la felicità deve nascere non dall’appagamento esterno,
ma tutta dentro di lui dalle parole dette in lode della sua donna. È questo il
secondo stadio dell’amore. Egli non ama più la donna per averne qualcosa in
cambio, ma l’amore diviene fine a se stesso: l’appagamento consiste solo nel
contemplare e lodare la creatura altissima, che è in terra come un “miracolo”.
A questa scoperta, che avviene a metà dell’opera, al capitolo diciotto, Dante
attribuisce un valore decisivo. Nel XXIV del Purgatorio afferma che la canzone Donne che avete intelletto d’amore,
prodotto di quella scoperta, dà inizio alle “nove rime”, cioè una nuova maniera
di poetare. In che cosa consiste tale novità? Questo modo di intendere l’amore
ha una stretta affinità con la visione dell’amore mistico elaborato dai teologi
medievali precedenti Dante: è l’amore
dei beati in cielo, che non mira a ricompense materiali e trova la sua
beatitudine solo nella contemplazione della lode di Dio. L’amore per Beatrice si è innalzato a un
livello ben superiore a quello cortese dei trovatori. L’amore non è più una passione
terrena, sia pur sublimante e raffinata, non si limita ingentilire l’animo: è
un aspetto di quell’amore di cui parlano mistici e teologi , la forza che muove
tutto l’universo che innalza le creature sino a ricongiungersi con Dio.
Vengono superati anche i termini dello stilnovismo precedente: Guinizzelli e Cavalcanti
cantavano la donna come miracolo e dono di Dio, ma l’amore era solo un processo
discendente, da Dio al poeta; processo ascendente si arrestava la donna (poeta >
donna), al di sopra della quale per l’amante non vi poteva essere nulla. Era
inevitabile quindi un conflitto tra amore per la donna l’amore per Dio. In
Dante il conflitto è superato: il processo ascendente torna sino a Dio proprio
per il tramite della donna. La salute
che proviene dal suo saluto è proprio la salvezza dell’anima. L’amore per la donna innalza l’anima sino
alla contemplazione del cielo: ed è questo Il terzo stadio dell’amore nella Vita nova, perfettamente identificabile nell’ultimo sonetto dell’opera Oltre la spera che più larga gira in cui
amore mette nel pensiero del poeta un’intelligenza nuova, che gli consente di
contemplare Beatrice nella gloria dell’Empireo. Quando Guinizzelli e Cavalcanti
lodavano la donna come angelo del cielo non si trattava che di un’iperbole
retorica, che rientrava in una ben precisa convenzione poetica. Nella Vita nova invece l’elemento inedito
della prosa che accompagna le liriche, rivelando il senso profondo unitario di
tutta la vicenda, dimostra che non si tratta di semplici metafore poetiche, e
risponde della serietà di tutto il discorso.
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