A Silvia - Analisi
del testo
La
lirica ha una costruzione rigorosamente simmetrica. La prima strofa ha una
funzione proemiale, e introduce il tema: l’immagine di Silvia che emerge dalla
memoria. La seconda la terza propongono, sempre rievocando il passato due
situazioni parallele: le illusioni giovanili di Silvia e quelle del poeta, che
si contrappongono alla faticosa realtà quotidiana, rispettivamente alle “opere
femminili” e alle “sudate carte”. La quarta strofa è un commento desolato alla
delusione di quelle speranze. La quinta e la sesta, in simmetria con la seconda
alla terza propongono nuovamente un parallelo tra Silvia il poeta: la giovane è
morta prima di vedere il fiore dei suoi anni; così la speranza del poeta muore
prima che egli possa godere della giovinezza; e di tante speranze resta solo la
prospettiva della “fredda morte”. La lirica non propone una vicenda d’amore, un
preciso rapporto sentimentale tra i due giovani. La situazione è lasciata nel
vago nell’indeterminato; ciò che unisce Silvia e il poeta, a distanza, senza che
tra loro ci sia alcun contatto, è solo il parallelismo tra due condizioni: la giovane
del popolo e il giovane poeta aristocratico sono associati, al di là della
distanza dei loro due mondi, solo dalla condizione giovanile, dalle sue
speranze dai suoi sogni, poi dalla delusione.
Non
solo la situazione ma tutta la lirica è caratterizzata dalla vaghezza. La
figura femminile è poverissima di indicazioni concrete; l’immagine di Silvia,
in apertura, vive solo di due particolari, quello fisico degli occhi e quello
psicologico (atteggiamento lieto e pensoso); questa estrema sobrietà di
indicazioni risalta soprattutto se riferita al codice letterario della
raffigurazione della bellezza femminile, quello della tradizione petrarchista,
che insiste minuziosamente su una serie di particolari fisici. Ancor più vaga è
la raffigurazione del mondo esterno, l’ambiente che circonda le due figure: il
paesaggio primaverile è poverissimo di indicazioni concrete. Gli oggetti sono
evocati quasi solo con il semplice nome (stanze, vie, palazzo, mare …). Non vi
sono descrizioni: solo pochi aggettivi estremamente sobri, quasi spogli (quiete,
odorose, sereno, dorate). Il mondo esterno è privo di urgenza fisica,
materiale, sensuale: è come assottigliato e rarefatto.
Questa
sobrietà della raffigurazione, questa estrema vaghezza, non sono casuali:
corrispondono a una poetica leopardiana, la tendenza al vago e indefinito. Lo spunto
per la poesia è sicuramente un dato reale e vissuto: ne abbiamo la prova nei ricordi d’infanzia e dell’adolescenza.
Ma questa realtà vissuta, per essere assunta in poesia, è sottoposta, per così
dire, a una serie di filtri che la depurano, le tolgono quell’urgenza materiale
che è propria dell’arido vero.
1
- Innanzitutto un filtro fisico: il
mondo esterno è percepito da Leopardi attraverso la finestra della casa
paterna, che lo allontana e lo separa dal mondo, impedendo il contatto
immediato con la realtà L’io nella poesia di Leopardi non è mai immerso nel
mondo, ma sempre separato da esso da una distanza, da una sorta di diaframma:
questo diaframma è in genere la finestra; Leopardi percepisce sempre il mondo
dal chiuso della propria stanza, dove studia, pensa, scrive, in definitiva, dal
chiuso del proprio mondo interiore: la finestra è come il confine simbolico,
che mette in contatto due mondi, interiore ed esteriore, l’immaginario e il
reale. La sua funzione è simile a quella della siepe dell’infinito.
2
- Il secondo filtro è costituito proprio dall’operazione dell’immaginazione. Il dato fisico del canto
delle figlie del cocchiere non è tanto percepito con i sensi, quanto appunto,
trasfigurato attraverso l’immaginazione; nel rapporto con il reale si determina
una sorta di doppia visione, come Leopardi chiarisce nello Zibaldone proprio
nel novembre di quell’anno 1828: “All’uomo sensibile immaginoso, che viva come
io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo, immaginando, il mondo gli
oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà con gli occhi una torre, una
campagna; potrà cogliere anche un suono d’una campana; e nel tempo stesso con
l’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono.
In questo secondo genere di obbietti sta tutto il bello, il piacevole delle
cose” ma il canto della giovane suscita l’immaginazione perché è già di per sé
di un tipo particolare: è una di quelle sensazioni vaghe indefinite che
Leopardi elenca nello Zibaldone come molto suggestivi, perché danno l’illusione
dell’infinito.
3
- Un terzo filtro è la memoria: il
ricordo per L. ha funzione analoga a quella dell’immaginazione, per rendere
indefinite e poetiche le cose; nel caso di A
Silvia, la memoria richiama un particolare del passato, il canto della
ragazza, trasfigurandolo. Ma quel particolare del mondo esterno era stato già,
a quel tempo, trasfigurato dall’immaginazione, dalla “visione”; non si ha solo
la memoria, ma la memoria di un’illusione: le due facoltà simili sommano le
loro funzioni.
4
-Ma si aggiunge un filtro letterario:
le immaginazioni suscitate dalla suggestione indefinita del canto della ragazza
sono anche memorie poetiche; la doppia visione è anche la sovrimpressione sul
reale del ricordo di passi poetici particolarmente cari: in questo caso, sulla
figura di Silvia che canta mentre è intenta al telaio si sovrappone il ricordo
virgiliano del canto di Circe che giunge ai Troiani di lontano nel silenzio
notturno mentre veleggiano dinanzi alle coste italiche “La figlia del sole fa
risuonare le selve del suo perpetuo canto, percorrendo col pettine sonoro le
sottili tele.”
5
- Ma vi è anche un filtro filosofico:
l’illusione recuperata dalla memoria non può più essere vissuta immediatamente,
ingenuamente, come negli anni giovanili. Nel tempo che si è frapposto, vi è
stata la presa di coscienza filosofica del “vero”, l’approdo alla visione
fermamente pessimistica del mondo. L’illusione risorge comunque,
prepotentemente: ma, a differenza degli anni della giovinezza è sempre
accompagnata dalla consapevolezza del vero, dell’infinita vanità del tutto. La
memoria richiama dal passato immagini di giovinezza, bellezza, gioia; ma quelle
immagini si proiettano come su uno sfondo d’ombra. Anche per questo nella
poesia leopardiana la realtà appare così rarefatta e smaterializzata. Non solo
quelle immagini sono fantasmi dell’immaginazione della memoria, ma sono
ulteriormente assottigliate dalla consapevolezza del fatto che tutto è nulla, per
questo la poesia leopardiana è così povera di determinazioni concrete, giocata
sul non dire, solo poco oltre, e sarebbe il silenzio, la pagina bianca. La poesia
è come una sfida ostinata al silenzio e al nulla.
Per
questo Leopardi è sì il poeta del negativo, del nulla, ma è anche il poeta
della vita. Il suo pessimismo non ha le sue radici originarie in un’attrazione
morbosa del nulla, in un accarezzamento compiaciuto della sconfitta, della
rinuncia a vivere, della dissoluzione, della morte. Il dato primario
dell’esperienza leopardiana, al contrario, è un bisogno di pienezza vitale, di
vita intensa ed energica, di gioia. Il pessimismo nasce solo come formazione
reattiva, dalla delusione di queste aspirazioni profonde. E non si manifesta
come rassegnazione lamentosa, ma come rivendicazione vigorosa del diritto alla
felicità, come protesta generosa ed eroica, per quanto disperata, contro tutte
le forze ostili che soffocano quel bisogno costitutivo dell’uomo. L’idea del
nulla non è abbandono irrazionale, ma lucida e ferma la conquista della
ragione: e a essa sono sempre contrapposte le ragioni della vita. Questo spiega
la sostanziale unitarietà della personalità leopardiana: non vi sono due Leopardi
contraddittori fra loro, l’oscuro amante della morte e il poeta eroico
titanico, ma due atteggiamenti diversi a partire da un’unica disposizione
originaria, vitale ed energica, il generoso slancio verso l’illusione e
l’esplorazione coraggiosa del vero. A
Silvia si chiude con l’immagine della fredda morte, ma per l’intero componimento
il poeta evoca nonostante tutto dallo sfondo d’ombra del nulla, le immagini
della vita e della gioia, come protesta contro la forza maligna della natura
che le ha negate all’uomo. Per questo appare oggi inaccettabile l’immagine
romantica, che risale a De Sanctis, dove L. è diviso dal conflitto
cuore-intelletto, il cuore proteso verso l’illusione e l’intelletto negatore,
distruttore: l’aspirazione alla pienezza vitale non è un impulso oscuro e
irrazionale ma rivendicazione consapevole, posizione lucidamente, razionalmente
perseguita dal poeta, nella sua protesta eroica che ha le basi nelle conquiste
della sua filosofia.
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