L'impero romano nel II SECOLO: sintesi: VERSO UN MONDO COMUNE Roma imperiale è la capitale di
un mondo molto complesso, costituito da un mosaico di popoli che parlavano
lingue diverse e abitavano un territorio di estensione smisurata, che andava
dalle sabbie dell’Egitto alle foreste della Germania, dalle coste dell’Oceano
Atlantico ai fiumi della Mesopotamia. Durante i primi secoli dell’era
imperiale, lo stato romano riesce a tenere unito un ampio mondo comune. La
cittadinanza viene accordata con liberalità, al fine di “romanizzare” le classi
dirigenti dei popoli soggetti. Si affermerà una cultura omogenea in tutto
l’impero: quella greco-romana. Questo processo di livellamento e di
unificazione non fu sempre spontaneo: le etnie che rifiutavano di romanizzasi
furono sterminate; in alcune zone marginali dell’impero le popolazioni locali
mantenevano i propri costumi e tentavano di condurre valorose e sfortunate
guerriglie contro l’autorità imperiale
II secolo
d.C._ Apogeo dell'impero romano Il beatissimum saeculum:
Il II secolo d. C è stato universalmente
considerato dagli storici antichi e moderni beatissimum
saeculum, l'età d'oro dell'impero. Persino lo storico Tacito parlò di
un'epoca nuova, in cui si poterono conciliare due cose in apparenza
inconciliabili: l'impero e la libertà (che in realtà è la libertà del senato).
Gli imperatori di quest'epoca discendevano tutti da nobili famiglie situate
nelle province romanizzate come le Gallie e la Spagna. Lo stesso valeva per il
senato formato in maggioranza dalla nobiltà provinciale che stava sostituendo
la nobiltà italica messa a dura prova dopo l'impero di Nerone. In questo modo senato ed imperatore,
provenendo dallo stesso ambiente, avevano mentalità e interessi in comune e il
loro rapporto, in questa nuova epoca, si consolidò.
Il
principato adottivo
Per una combinazione di circostanze nessuno degli
imperatori del secolo II d.C ebbe discendenti diretti; per provvedere alla
successione al trono essi dovettero dunque adottare una persona estranea alla
loro famiglia. La legittimità del potere di questi imperatori non proveniva dal
diritto di nascita (non riconosciuto dal sistema giuridico romano) ma dalla
decisione diretta del princeps; sembrò realizzarsi l'ideale stoico diffuso
nell'aristocrazia romana che poneva al vertice dello stato un optimus princeps, i cui meriti fossero
riconosciuti da tutti e la cui autorità fosse di conseguenza accettata da
tutti. Ciò evitò le congiure di palazzo e la possibilità che persone
impreparate salissero al potere. I nuovi imperatori sarebbero stati scelti
sulla base delle loro effettive capacità e sarebbero stati graditi anche dal
senato, per via del nuovo accordo tra i due organi politici; inoltre sarebbero
stati ben visti anche dall'esercito.
La vita
cittadina
Il bilancio
del II secolo d.C. fu complessivamente positivo. I confini raggiunsero la
massima estensione; le aristocrazie provinciali erano ormai perfettamente
integrate nello stato romano; la vita cittadina in ogni provincia dell'impero
s'incrementò come mai in precedenza: furono fondate nuove città e quelle esistenti
vennero abbellite con monumenti ed edifici di pubblica utilità.
Elementi di
debolezza – l’agricoltura dà i primi segni di debolezza. Gli obblighi
militari toglievano forza lavoro alle attività produttive e favorivano il calo
demografico. Grandi possedimenti terrieri in mano ai latifondisti però non
producevano come sarebbe accaduto se gli stessi territori fossero stati divisi
tra aziende agricole familiari in cui l'interesse personale avrebbe stimolato
l'agricoltura a incrementare la produzione e a investire i guadagni per
migliorare l'azienda: l'avanzata del latifondo diminuiva la produzione globale.
Il sistema del colonato: molti
proprietari terrieri, per ovviare al declino della produzione, trovavano più
conveniente rinunciare alla gestione diretta delle grandi aziende agricole.
L'epoca dell'economia schiavista venne meno (anche perché la pace ridusse la
disponibilità di schiavi) e fu sostituita dal sistema del colonato. Dato il
basso rendimento della manodopera servile le grandi tenute vennero divise in
piccoli lotti affidati a contadini nullatenenti o schiavi in stato di
semilibertà, detti “coloni” che versavano al proprietario metà di quanto
raccoglievano.
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