martedì 25 ottobre 2016

Dante - Vita Nova



Vita Nova
La Vita nova si presenta come ricapitolazione di un’esperienza passata, e al tempo stesso come ricostruzione del suo significato profondo: un’esperienza sentimentale e intellettuale insieme, di vita di poesia, così unite tra loro da non potersi distinguere. Da qui le discussioni tra chi interpreta la Vita nova come reale documento autobiografico e coloro che la ritengono una pura trascrizione simbolica di idee e sentimenti. Ma il libro non è né una cosa né l’altra, ed è difficile da penetrare con la nostra mentalità di lettori moderni, così distanti dall’universo culturale del Medioevo. Nella Vita nova  è probabilmente contenuta una trama di esperienze reali, ma Dante mira soprattutto a cogliere i significati segreti che stanno al di là di esse, e a comporli in una vicenda esemplare valida universalmente, sottratta ai limiti del tempo e dello spazio; deriva da qui il carattere irrealistico della narrazione dantesca, che vanifica ogni tentativo di leggerla in chiave moderna come “romanzo” psicologico. Luoghi e persone perdono la loro fisionomia concreta e individuale, sfumando in un’estrema indeterminatezza. Tra i fatti della vita quotidiana viene operata una rigorosa selezione, che lascia filtrare solo pochi gesti e azioni, stilizzati e come rarefatti, privati di ogni urgenza fisica immediata, ridotti a pure cifre immateriali: incontri, sguardi, saluti, gentili colloqui, solitarie passeggiate, lacrime, sospiri. Ne deriva l’impressione di un mondo diverso da quello reale, impalpabile ed evanescente, immerso come in un’atmosfera stranita, di sogno. Tant’è vero che alle vicende reali si mescolano spesso autentici sogni e visioni, senza che si crei alcun contrasto, alcuna sfasatura di tono e di atmosfera.
Il libro è suddiviso in tre parti: nella prima si tratta degli effetti che l’amore produce sull’amante; nella seconda si ha la lode della donna; nella terza, la morte della “gentilissima”. A queste tre parti corrispondono tre diversi stadi dell’amore. Nel primo esso rientra ancora pienamente nei canoni dell’amor cortese, secondo cui l’amante poteva sempre sperare una ricompensa al suo amore da parte della donna: il saluto era divenuto appunto il simbolo, estremamente sublimato, di questo appagamento esteriore e materiale. La negazione del saluto fa scoprire a Dante che la felicità deve nascere non dall’appagamento esterno, ma tutta dentro di lui dalle parole dette in lode della sua donna. È questo il secondo stadio dell’amore. Egli non ama più la donna per averne qualcosa in cambio, ma l’amore diviene fine a se stesso: l’appagamento consiste solo nel contemplare e lodare la creatura altissima, che è in terra come un “miracolo”. A questa scoperta, che avviene a metà dell’opera, al capitolo diciotto, Dante attribuisce un valore decisivo. Nel XXIV del Purgatorio afferma che la canzone Donne che avete intelletto d’amore, prodotto di quella scoperta, dà inizio alle “nove rime”, cioè una nuova maniera di poetare. In che cosa consiste tale novità? Questo modo di intendere l’amore ha una stretta affinità con la visione dell’amore mistico elaborato dai teologi medievali precedenti Dante: è l’amore dei beati in cielo, che non mira a ricompense materiali e trova la sua beatitudine solo nella contemplazione della lode di Dio. L’amore per Beatrice si è innalzato a un livello ben superiore a quello cortese dei trovatori. L’amore non è più una passione terrena, sia pur sublimante e raffinata, non si limita ingentilire l’animo: è un aspetto di quell’amore di cui parlano mistici e teologi , la forza che muove tutto l’universo che innalza le creature sino a ricongiungersi con Dio. Vengono superati anche i termini dello stilnovismo precedente: Guinizzelli e Cavalcanti cantavano la donna come miracolo e dono di Dio, ma l’amore era solo un processo discendente, da Dio al poeta; processo ascendente si arrestava la donna (poeta > donna), al di sopra della quale per l’amante non vi poteva essere nulla. Era inevitabile quindi un conflitto tra amore per la donna l’amore per Dio. In Dante il conflitto è superato: il processo ascendente torna sino a Dio proprio per il tramite della donna. La salute che proviene dal suo saluto è proprio la salvezza dell’anima. L’amore per la donna innalza l’anima sino alla contemplazione del cielo: ed è questo  Il terzo stadio dell’amore nella Vita nova, perfettamente identificabile nell’ultimo sonetto dell’opera Oltre la spera che più larga gira in cui amore mette nel pensiero del poeta un’intelligenza nuova, che gli consente di contemplare Beatrice nella gloria dell’Empireo. Quando Guinizzelli e Cavalcanti lodavano la donna come angelo del cielo non si trattava che di un’iperbole retorica, che rientrava in una ben precisa convenzione poetica. Nella Vita nova invece l’elemento inedito della prosa che accompagna le liriche, rivelando il senso profondo unitario di tutta la vicenda, dimostra che non si tratta di semplici metafore poetiche, e risponde della serietà di tutto il discorso.

Nessun commento:

Posta un commento