giovedì 13 ottobre 2016

Leopardi - A Silvia - Analisi del testo



A Silvia - Analisi del testo
La lirica ha una costruzione rigorosamente simmetrica. La prima strofa ha una funzione proemiale, e introduce il tema: l’immagine di Silvia che emerge dalla memoria. La seconda la terza propongono, sempre rievocando il passato due situazioni parallele: le illusioni giovanili di Silvia e quelle del poeta, che si contrappongono alla faticosa realtà quotidiana, rispettivamente alle “opere femminili” e alle “sudate carte”. La quarta strofa è un commento desolato alla delusione di quelle speranze. La quinta e la sesta, in simmetria con la seconda alla terza propongono nuovamente un parallelo tra Silvia il poeta: la giovane è morta prima di vedere il fiore dei suoi anni; così la speranza del poeta muore prima che egli possa godere della giovinezza; e di tante speranze resta solo la prospettiva della “fredda morte”. La lirica non propone una vicenda d’amore, un preciso rapporto sentimentale tra i due giovani. La situazione è lasciata nel vago nell’indeterminato; ciò che unisce Silvia e il poeta, a distanza, senza che tra loro ci sia alcun contatto, è solo il parallelismo tra due condizioni: la giovane del popolo e il giovane poeta aristocratico sono associati, al di là della distanza dei loro due mondi, solo dalla condizione giovanile, dalle sue speranze dai suoi sogni, poi dalla delusione.
Non solo la situazione ma tutta la lirica è caratterizzata dalla vaghezza. La figura femminile è poverissima di indicazioni concrete; l’immagine di Silvia, in apertura, vive solo di due particolari, quello fisico degli occhi e quello psicologico (atteggiamento lieto e pensoso); questa estrema sobrietà di indicazioni risalta soprattutto se riferita al codice letterario della raffigurazione della bellezza femminile, quello della tradizione petrarchista, che insiste minuziosamente su una serie di particolari fisici. Ancor più vaga è la raffigurazione del mondo esterno, l’ambiente che circonda le due figure: il paesaggio primaverile è poverissimo di indicazioni concrete. Gli oggetti sono evocati quasi solo con il semplice nome (stanze, vie, palazzo, mare …). Non vi sono descrizioni: solo pochi aggettivi estremamente sobri, quasi spogli (quiete, odorose, sereno, dorate). Il mondo esterno è privo di urgenza fisica, materiale, sensuale: è come assottigliato e rarefatto.
Questa sobrietà della raffigurazione, questa estrema vaghezza, non sono casuali: corrispondono a una poetica leopardiana, la tendenza al vago e indefinito. Lo spunto per la poesia è sicuramente un dato reale e vissuto: ne abbiamo la prova nei ricordi d’infanzia e dell’adolescenza. Ma questa realtà vissuta, per essere assunta in poesia, è sottoposta, per così dire, a una serie di filtri che la depurano, le tolgono quell’urgenza materiale che è propria dell’arido vero.
1 - Innanzitutto un filtro fisico: il mondo esterno è percepito da Leopardi attraverso la finestra della casa paterna, che lo allontana e lo separa dal mondo, impedendo il contatto immediato con la realtà L’io nella poesia di Leopardi non è mai immerso nel mondo, ma sempre separato da esso da una distanza, da una sorta di diaframma: questo diaframma è in genere la finestra; Leopardi percepisce sempre il mondo dal chiuso della propria stanza, dove studia, pensa, scrive, in definitiva, dal chiuso del proprio mondo interiore: la finestra è come il confine simbolico, che mette in contatto due mondi, interiore ed esteriore, l’immaginario e il reale. La sua funzione è simile a quella della siepe dell’infinito.
2 - Il secondo filtro è costituito proprio dall’operazione dell’immaginazione. Il dato fisico del canto delle figlie del cocchiere non è tanto percepito con i sensi, quanto appunto, trasfigurato attraverso l’immaginazione; nel rapporto con il reale si determina una sorta di doppia visione, come Leopardi chiarisce nello Zibaldone proprio nel novembre di quell’anno 1828: “All’uomo sensibile immaginoso, che viva come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo, immaginando, il mondo gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà con gli occhi una torre, una campagna; potrà cogliere anche un suono d’una campana; e nel tempo stesso con l’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbietti sta tutto il bello, il piacevole delle cose” ma il canto della giovane suscita l’immaginazione perché è già di per sé di un tipo particolare: è una di quelle sensazioni vaghe indefinite che Leopardi elenca nello Zibaldone come molto suggestivi, perché danno l’illusione dell’infinito.
3 - Un terzo filtro è la memoria: il ricordo per L. ha funzione analoga a quella dell’immaginazione, per rendere indefinite e poetiche le cose; nel caso di A Silvia, la memoria richiama un particolare del passato, il canto della ragazza, trasfigurandolo. Ma quel particolare del mondo esterno era stato già, a quel tempo, trasfigurato dall’immaginazione, dalla “visione”; non si ha solo la memoria, ma la memoria di un’illusione: le due facoltà simili sommano le loro funzioni.
4 -Ma si aggiunge un filtro letterario: le immaginazioni suscitate dalla suggestione indefinita del canto della ragazza sono anche memorie poetiche; la doppia visione è anche la sovrimpressione sul reale del ricordo di passi poetici particolarmente cari: in questo caso, sulla figura di Silvia che canta mentre è intenta al telaio si sovrappone il ricordo virgiliano del canto di Circe che giunge ai Troiani di lontano nel silenzio notturno mentre veleggiano dinanzi alle coste italiche “La figlia del sole fa risuonare le selve del suo perpetuo canto, percorrendo col pettine sonoro le sottili tele.”
5 - Ma vi è anche un filtro filosofico: l’illusione recuperata dalla memoria non può più essere vissuta immediatamente, ingenuamente, come negli anni giovanili. Nel tempo che si è frapposto, vi è stata la presa di coscienza filosofica del “vero”, l’approdo alla visione fermamente pessimistica del mondo. L’illusione risorge comunque, prepotentemente: ma, a differenza degli anni della giovinezza è sempre accompagnata dalla consapevolezza del vero, dell’infinita vanità del tutto. La memoria richiama dal passato immagini di giovinezza, bellezza, gioia; ma quelle immagini si proiettano come su uno sfondo d’ombra. Anche per questo nella poesia leopardiana la realtà appare così rarefatta e smaterializzata. Non solo quelle immagini sono fantasmi dell’immaginazione della memoria, ma sono ulteriormente assottigliate dalla consapevolezza del fatto che tutto è nulla, per questo la poesia leopardiana è così povera di determinazioni concrete, giocata sul non dire, solo poco oltre, e sarebbe il silenzio, la pagina bianca. La poesia è come una sfida ostinata al silenzio e al nulla.
Per questo Leopardi è sì il poeta del negativo, del nulla, ma è anche il poeta della vita. Il suo pessimismo non ha le sue radici originarie in un’attrazione morbosa del nulla, in un accarezzamento compiaciuto della sconfitta, della rinuncia a vivere, della dissoluzione, della morte. Il dato primario dell’esperienza leopardiana, al contrario, è un bisogno di pienezza vitale, di vita intensa ed energica, di gioia. Il pessimismo nasce solo come formazione reattiva, dalla delusione di queste aspirazioni profonde. E non si manifesta come rassegnazione lamentosa, ma come rivendicazione vigorosa del diritto alla felicità, come protesta generosa ed eroica, per quanto disperata, contro tutte le forze ostili che soffocano quel bisogno costitutivo dell’uomo. L’idea del nulla non è abbandono irrazionale, ma lucida e ferma la conquista della ragione: e a essa sono sempre contrapposte le ragioni della vita. Questo spiega la sostanziale unitarietà della personalità leopardiana: non vi sono due Leopardi contraddittori fra loro, l’oscuro amante della morte e il poeta eroico titanico, ma due atteggiamenti diversi a partire da un’unica disposizione originaria, vitale ed energica, il generoso slancio verso l’illusione e l’esplorazione coraggiosa del vero. A Silvia si chiude con l’immagine della fredda morte, ma per l’intero componimento il poeta evoca nonostante tutto dallo sfondo d’ombra del nulla, le immagini della vita e della gioia, come protesta contro la forza maligna della natura che le ha negate all’uomo. Per questo appare oggi inaccettabile l’immagine romantica, che risale a De Sanctis, dove L. è diviso dal conflitto cuore-intelletto, il cuore proteso verso l’illusione e l’intelletto negatore, distruttore: l’aspirazione alla pienezza vitale non è un impulso oscuro e irrazionale ma rivendicazione consapevole, posizione lucidamente, razionalmente perseguita dal poeta, nella sua protesta eroica che ha le basi nelle conquiste della sua filosofia.

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