mercoledì 26 ottobre 2016

Leopardi _ La Ginestra - Analisi



Analisi del testo
La prima strofa insiste sull’opposizione deserto / ginestra aridità / profumo; il paesaggio è decisamente anti idillico e si specifica in tre quadri 1) il “formidabil monte”,  concretizza l’immagine della potenza distruttiva della natura; “le erme contrade” intorno a Roma, immagine di desolazione e abbandono che richiama l’azione corrosiva del tempo e il perire irrimediabile di tutte le cose; le “ceneri infeconde” e l’empia tratta lava immagine di morte che rendono oggettivo il destino delle creature.
La ginestra invece è così connotata: contenta dei deserti, li abbellisce; è sempre compagna di afflitte fortune; è gentile, in opposizione alla spietata minaccia del vulcano; commisera i danni altrui, consola la desolazione del deserto con il suo profumo. La ginestra assume quindi un denso valore simbolico: come indicano gli attributi elencati, rappresenta essenzialmente la pietà verso la sofferenza degli esseri, perseguitati dalla natura. È possibile scorgere una segreta identificazione tra Leopardi e la ginestra (li accomuna anche il connotato della solitudine). Nel fiore il poeta proietta soprattutto la sua pietà per le vittime della natura; viene così anticipato sin dalla prima strofa, nel simbolo del fiore, il motivo della solidarietà fra gli uomini, che sarà proposto in forma argomentativa più avanti. Ma c’è ancora un altro terreno di identificazione tra il fiore e il poeta. La ginestra rappresenta la vita che resiste a ogni costo al deserto, alla potenza devastante della natura; nel fiore si proietta perciò anche quell’atteggiamento coraggioso, non rassegnato di opposizione e di sfida alla natura nemica, che caratterizza l’ultimo Leopardi.
Nell’ultima parte della strofa si ha un passaggio brusco dal motivo lirico a quello polemico: “A queste Piagge …” con uno stacco forte e netto.
La polemica antireligiosa occupa la seconda  e la terza strofa. Il ritorno di concezioni religiose e spiritualiste è sintomo di vigliaccheria, conformismo, interesse e opportunismo. A questi atteggiamenti che ritiene vili e spregevoli, contrappone la propria figura eroica e solitaria, con un atteggiamento combattivo e un orgoglio della propria nobiltà spirituale che sono propri delle opere di quest’ultimo periodo.
Nella terza strofa il poeta definisce la vera nobiltà spirituale, che consiste nel guardare coraggiosamente in faccia il destino comune e nel dire il vero sulla condizione infelice ed effimera dell’uomo, mostrandosi forte nel soffrire e fraternamente solidale con gli altri uomini. A questo punto si colloca una svolta fondamentale nel pensiero leopardiano. Nelle precedenti opere in cui polemizzava contro l’ottimismo progressista dei suoi tempi, Leopardi si limitava a posizioni critiche negative distruggendo i miti ingannevoli degli avversari, rivelando il desolato vero. Qui invece propone con vigore una parte costruttiva, una sua alternativa alle idee che combatte. Il pessimismo assoluto non induce Leopardi alla rassegnazione e all’inerzia di fronte alla potenza ostile della natura, né all’indifferenza verso i mali dell’umanità: il suo è un pessimismo combattivo ed eroico, ma anche aperto alla solidarietà verso gli altri uomini. In alcuni scritti precedenti Leopardi negava che il cosiddetto progresso potesse assicurare sia la felicità, sia la giustizia; le stesse leggi naturali prescrivono che trionfi sempre, in ogni forma di governo, la forza e l’iniquità sulla virtù e la giustizia. Nella Ginestra il poeta continua ad escludere la felicità, ma afferma la possibilità di un progresso che assicuri una società più giusta con rapporti più umani tra gli uomini. Alla falsa idea di progresso diffuso dalle ideologie ottimistiche del suo tempo, che consisteva nel mito di una nuova età dell’oro garantita dalle riforme politiche delle conquiste tecnologiche, che avrebbero assicurato la pace, l’abbondanza dei beni materiali e il dominio sulla natura, contrappone quello che per lui è il progresso autentico di tipo civile e morale. Questo tipo di progresso non si fonda su un’ingannevole ottimismo, ma proprio sul pessimismo, sulla lucida consapevolezza della tragica condizione dell’umanità. La coscienza dell’infelicità e miseria umana spingerebbe gli uomini a coalizzarsi tra di loro contro la comune nemica, portando alla solidarietà reciproca e alla fraternità. Questa società più giusta e civile avrebbe un solido fondamento oggettivo in un bisogno reale degli uomini, quello di salvaguardare la propria sopravvivenza; tale progresso non assicurerebbe affatto agli uomini la felicità, che è impossibile, ma garantirebbe una società più giusta e civile, in cui gli uomini non sarebbero più aggressivi gli uni contro gli altri come belve. Non ci sarà dunque l’infelicità aggiunta che nasce dall’ostilità degli altri uomini, anzi l’uomo sarà soccorso e confortato dai suoi simili quando la natura malvagia si accorrerà contro di lui. Compito dell’intellettuale è dunque diffondere la consapevolezza del vero, indicando il vero nemico contro cui combattere. Il poeta ha compiuto un generoso sforzo per volgere in positivo il suo pensiero, per fondare sulla base del suo pessimismo un’idea non  illusoria di progresso e di civiltà.
La quarta strofa ha uno stacco netto dalla precedente: si apre con uno scorcio paesaggistico, lo stesso della prima strofa, individuato da un colore che evoca immagini luttuose. Qui è presente anche la figura del poeta; non ci sono più i filtri che comparivano ad esempio in “A Silvia”: L’io è immerso nella realtà esterna, non la sfugge più, ma la affronta eroicamente. È una realtà scabra, orrida, funebre, non più trasfigurata da alcuna illusione, ma rappresenta in tutta la sua tragica terribilità la vera condizione dell’uomo. Da questo particolare risalta la poetica nuova, non più idillica dell’ultimo Leopardi, che vuol fare poesia non più con il caro immaginar ma interamente con il vero.
La prospettiva si allarga poi alla volta stellata, che non evoca più la memoria delle favole infantili, ma una vasta meditazione sulla nullità della terra e dell’uomo nell’universo. Non è più l’infinito dell’immaginazione, ma l’infinito del vero.
Il ritorno polemico porta a due atteggiamenti entrambi presenti e strettamente uniti: il riso per la stoltezza e la pietà per le sofferenze dell’umanità.
La quinta strofa riprende il motivo della prima, la potenza distruttiva della natura.
Nella sesta è centrale il motivo del tempo, il contrasto tra la variabilità del tempo umano e l’immobilità di quello della natura. Mentre il tempo umano scorre vario, trasformando incessantemente le cose, la natura maligna incombe immutata, affermando la sua minaccia. La natura ignora i ritmi del tempo umano, con la sua eterna minaccia.
Nella conclusione il motivo è esposto in forma riflessiva: la natura sta “ognor verde” mentre cadono i regni, passano i popoli e linguaggi. Una delle sentenze definitive, concise e lapidarie tipiche del poeta chiude le sue argomentazioni “l’uom d’eternità s’arroga il vanto” in cui risuonano insieme scherno e commiserazione.
Nell’ultima strofa, in rispondenza circolare con la prima, ritorna in primo piano la ginestra. Del fiore viene richiamato il significato simbolico, la pietà per la desolata condizione delle creature; tuttavia in seguito acquista nuovi significati: la ginestra diviene un modello di comportamento nobile ed eroico per l’uomo. La fragile pianticella dovrà inevitabilmente piegare il capo dinnanzi all’onnipotenza della natura distruttrice, ma questa sconfitta non cancella la sua dignità: la ginestra non ha mai piegato codardamente il capo a supplicare l’oppressore, né l’ha diretto con folle orgoglio per eguagliarsi nel cielo, né mai ha voluto imporre il suo dominio sulle altre creature. Nella ginestra si proietta dunque l’immagine ideale della nobiltà dell’uomo, che il poeta aveva delineato nella terza strofa.

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